mercoledì 30 aprile 2008

MOSCA. REPORTAGE DALLA A ALLA Z

M come la Metropolitana.

La metropolitana di Mosca è una costruzione che merita di essere visitata. Oltre che ad estendersi sotto la città per circa 292 km complessivamente con 12 linee e 176 stazioni in continua espansione, essa rappresenta un vero e proprio museo d’arte. Non esistono due stazioni identiche. Ognuna è dotata di un proprio stile e decoro, suscitando l’ammirazione dei turisti e dei moscoviti stessi. Colonne rivestite di marmo, soffitti dipinti, statue, bassorilievi e persino lampadari di cristallo sono elementi abituali della veste metropolitana.
Il mezzo di trasporto urbano ad alta velocità, come viene ufficialmente chiamata la metro di Mosca, è stato aperto nel 1935. Il traffico medio giornaliero ammonta ad oltre 7 milioni di passeggeri, con punte che raggiungono i 9 milioni nei giorni feriali. La metro è sempre affollata, eppure le correnti umane si muovono al ritmo di una invidiabile ed ordinata convinzione del senso di marcia prescelto. La perfetta organizzazione (tranne che per la mancanza di scritte in alfabeto latino) fa sì che tutti sanno perfettamente dove e come andare, guidati da molteplici e precise indicazioni. I treni viaggiano alla velocità media di 40 km/ora, raggiungendo, nelle ore di punta, la frequenza di soli 30 secondi. Tre cose che attirano l’attenzione dei turisti (non più dei moscoviti, oramai abituati a tutto) sono: la presenza nelle stazioni di cambio dei musicisti, talvolta piuttosto bravi, che suonano o cantano eseguendo spesso e volentieri brani di musica classica; i venditori abusivi di fiori, per la gran parte rose; e i mendicanti provvisti o meno di targhette di richieste di aiuto. Un’altra cosa che stupisce sono l’assoluto ordine e pulizia che regnano nella metropolitana, a partire dai muri non imbrattati da disegni e per finire con il pavimento e le scale che vengono costantemente pulite. L’unica eccezione a quanto appena asserito consiste nel fatto che nelle giornate in cui si scioglie la neve quest’ultima viene portata dalle scarpe all’interno della metro, trasformando le scale d’ingresso in fiumi straripanti di acqua e fango.
Un biglietto costa all’incirca 0,45 euro e consente di effettuare un numero illimitato di fermate una volta entrati. Come nelle altre città europee, anche qui, oramai, sono apparsi i furbi, che cercano di viaggiare senza biglietto, accodandosi ad un altro passeggero o semplicemente scavalcando le protezioni.
Una curiosità: di tanto in tanto capita di vedere cani randagi che dormono accucciati nell’area dei marciapiedi o che addirittura prendono il treno (ovviamente gratis).

MOSCA. REPORTAGE DALLA A ALLA Z

Ho vissuto nell’Unione Sovietica per 26 anni di cui 4 anni a Mosca, la Mosca degli anni 90, divenuta il simbolo dei cambiamenti di cui tutti abbiamo sentito parlare, chi più, chi meno.
Ora, quasi 10 anni dopo, sono ritornata (e non da turista), cercando di comprendere la città, che nel frattempo ha proseguito nel suo sviluppo, spogliandosi frettolosamente del suo passato comunista come se si trattasse solo di una vecchia vestaglia fuori moda. La città mi appare completamente estranea. E’ come tornare dopo tanti anni a riabbracciare vecchi amici e capire ad un tratto che non si ha più nulla da dire.
A Mosca c’è tutto e forse di più; auto di lusso esposte con una indifferente non curanza, appartamenti in centro, con tanto di giardini d’inverno e di piscine private al loro interno, centri commerciali contenenti esclusivamente boutique di alta moda, supermercati con lampadari di cristallo e specchi a soffitto, ma vi sono anche vecchi atri di palazzi residenziali che non hanno mai visto una ristrutturazione dai tempi della caduta del muro, vicoli sporchi e degradati, negozi aperti 24 ore su 24 con prezzi alle stelle…E poi ci sono i moscoviti e non, i forestieri, arrivati non solo da tutta l’immensa madre Russia, ma anche dai paesi europei e dagli Stati Uniti, venuti a cercare la loro America. A Mosca c’è il mondo insomma.

Io ho deciso di raccontare questo mondo per mezzo di tanti piccoli acquarelli dipinti su tutto ciò che ho visto, sentito, intuito, vissuto…facendo il gioco dell’alfabeto, come a scuola. E dunque cominciamo…

lunedì 7 aprile 2008

Fiaccola olimpica nella scia del sangue di un piccolo popolo dimenticato.

La fiamma olimpica, considerata da sempre un simbolo di pace, continua il suo lungo percorso verso Pechino. Gli sporadici tentativi di boicottare le Olimpiadi, al fine di spingere il governo cinese verso una soluzione pacifica del problema “Tibet”, si ruppero contro l’indifferenza mondiale. Eh già, a chi interessa un piccolo popolo che vive laddove nessun altro riesce a vivere e che non chiede nulla se non di essere lasciato in pace? Un popolo la cui spiritualità rappresenta la sua unica ricchezza, un popolo che da decenni vive orfano del suo capo spirituale costretto ad un lungo esilio in India. Eppure è proprio la sua Santità, il Dalai Lama, il cattivo di turno, colui che riceve le accuse di voler boicottare i Giochi Olimpici! E’ proprio vero allora che il mondo va al contrario?! E come mai le grandi potenze mondiali, sempre così attente ai problemi di democrazia, si limitano a “fare le condoglianze” al popolo tibetano, senza intraprendere alcuna azione concreta in sua difesa? Non è per caso perché la Cina è oramai un grande partner commerciale che fa gola a tutti, mentre il Tibet rappresenta solo un’arida terra senza una minima traccia di petrolio?
Poco male: che cosa ci possono offrire i tibetani? La loro povertà? Le condizioni estreme di vita? Una spiritualità fuori dal mondo? Già, proprio così, fuori dal mondo in tutti i sensi. Un mondo che, alla ricerca solamente di “pane e circensis”, continuerà a seguire la scia di sangue apertasi davanti alla fiaccola olimpica per poi, finite le Olimpiadi, dimenticarsi di nuovo del piccolo popolo e del suo crudele destino.
D’altro canto c’è chi sostiene che l’occupazione cinese ha portato sviluppo e benefici al Tibet e che a rimetterci (la ricchezza e il potere) sono stati solo i leader religiosi, tra i quali, primo fra tutti il Dalai Lama. Sarà….è che io non riesco a dimenticare un’immagine trasmessa alla tv: i soldati cinesi che sparano alla schiena dei tibetani che cercano di raggiungere, attraverso la catena dell’Himalaia, il Dalai Lama in occasione di una festività religiosa.